La responsabilità civile per danni sottesa ai rischi, molteplici e spesso non prevedibili, legati alla delicatezza dell’attività medico-professionale, ha reso ormai evidente all’operatore sanitario la necessità di individuare nuovi mezzi di tutela patrimoniale, eventualmente complementari e di rinforzo rispetto al tradizionale strumento della polizza assicurativa, in grado di garantire al proprio patrimonio continuità di valore nel tempo e, eventualmente, “riparo” da future pretese creditorie, in funzione di una progettualità di vita che trova, solitamente, ragion d’essere nella solidarietà familiare.
Tali avvertite esigenze trovano soddisfacente risposta, secondo la nostra esperienza internazionale in materia di protezione patrimoniale di asset familiari, mediante l’istituzione di un trust che accompagni, all’effetto segregativo a esso connaturato, finalità sia propriamente protettive che di effettiva programmazione economica.
Il trust, letteralmente “affidamento”, costituisce uno strumento di gestione patrimoniale, di derivazione anglosassone, che ha trovato legittimazione nel nostro ordinamento giuridico a seguito dell’entrata in vigore, il 1° gennaio del 1992, della Legge n.364/1989 che ha ratificato la Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985.
La struttura dell’istituto del trust è, in realtà, piuttosto semplice e lineare: il professionista-medico, c.d. Disponente, può disporre di tutti o di parte dei propri beni, per atto tra vivi o per testamento, affidandone temporaneamente la proprietà e la gestione unitaria a un Trustee, affinché detti cespiti siano amministrati secondo una specifica destinazione, impressa dallo stesso Disponente in forza di un atto istitutivo, nell’interesse di un terzo beneficiario o per uno specifico scopo (vincolo di destinazione).
La prassi ha evidenziato come, di regola, il professionista istituisce, sottopone e vincola il proprio patrimonio in trust per programmare nel tempo la gestione delle risorse patrimoniali familiari così da assicurare, mediante regole precise, una attribuzione dei benefici economici, nel corso della durata del trust, ordinata e cadenzata secondo i bisogni, necessità e interessi, sia personali che del proprio nucleo familiare, nonché la devoluzione dei beni ai beneficiari al termine finale di durata del trust.
Per l’effetto, quanto conferito in trust – indifferentemente mobili, immobili, titoli di credito, diritti di ogni tipo e, in genere, tutto ciò che può formare oggetto di trasferimento – costituisce un patrimonio autonomo e unitario, c.d. “Fondo in Trust”, separato sia dai residui cespiti del Disponente, sia dal compendio personale del Trustee e, quindi, non assoggettabile a eventuali azioni esecutive promosse dai creditori personali del Disponente, del Trustee e dei beneficiari, ma aggredibile esclusivamente per i debiti contratti in ragione delle finalità del trust. Si dice a tal proposito che i beni in trust sono a tutti gli effetti “segregati” per evidenziare la loro “impermeabilità” a qualsiasi vicenda estranea al trust che possa sviare o frustrare l’attuazione del programma in esso delineato.
In quest’ottica, dunque, l’effetto segregativo dispiega una generica funzione di protezione patrimoniale, rendendo il trust mezzo idoneo a proteggere le risorse economiche del professionista e a realizzarne la destinazione secondo gli obiettivi fissati dal disponente.
D’obbligo, in conclusione, una precisazione: la protezione accordata dalla segregazione è e rimane un effetto discendente dal trust, ma non può mai essere elevata a sua causa; in caso contrario si sconfinerebbe nella fattispecie di negozio in frode alla legge. Il limite, dunque, che non può mai essere travalicato è quello della meritevolezza della causa concreta: il programma negoziale enunciato dal professionista-medico nell’atto istitutivo deve essere sempre portatore di interessi meritevoli di tutela per il nostro ordinamento giuridico.
In questi limiti e per queste finalità i trust sono legittimi strumenti di protezione patrimoniale.
Salvatore Tramontano