Il dibattito relativo agli strumenti conservativi e di adeguamento del contratto ha acquisito nuova e inaspettata vitalità in conseguenza della crisi sanitaria da Covid-19 prima e della guerra in Ucraina poi.
La portata globale di entrambi i fenomeni ha determinato e sta determinando una frenata della crescita economica degli Stati, tanto europei quanto extra-europei, impattando profondamente, seppur con diversa intensità, sulla tenuta economica, finanziaria e sociale di questi ultimi.
La tematica delle sopravvenienze, quali eventi che determinino una alterazione delle prestazioni originariamente pattuite, nell’ambito dei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero differita, sempre che la sopravvenuta onerosità non rientri nell’alea normale del contratto, viene normata, con i dovuti distinguo, sia a livello internazionale sia a livello nazionale.
Nell’ambito della contrattualistica internazionale, la Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di compravendita internazionali di merci (Convenzione di Vienna), all’art. 79 prevede che “Una parte non è responsabile dell’inadempienza di uno qualsiasi dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta ad un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze”, precisando tuttavia rispettivamente ai successivi par 3 e 4 che … “3). L’esonero previsto dal presente articolo produce effetto per tutta la durata dell’impedimento. 4) La parte che non dà esecuzione al contratto, deve avvisare l’altra parte dell’impedimento e delle sue conseguenze sulla sua capacità di esecuzione. Se l’avviso non giunge a destinazione in un termine ragionevole a partire dal momento in cui la parte che non ha dato esecuzione era a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza dell’impedimento, quest’ultima è tenuta a dare danni-interessi a causa della mancata ricezione”.
Altre fonti internazionali hanno affrontato la problematica in questione, facendo sostanzialmente propri gli stessi principi; la Camera di Commercio Internazionale ha emanato la ICC Force Major Clause 2003, aggiornata nel 2020 unitamente alla hardship clause e gli Unidroit Principles of International Contract.
L’hardship clause, affiancando la clausola della forza maggiore, codifica le circostanze sopravvenute che possono portare a un eccessivo squilibrio delle prestazioni obbligando le parti a rimodulare l’assetto negoziale.
Tale valutazione è tutt’altro che agevole, perché, nell’ambito del principio di buona fede ispirato dal superiore dovere di solidarietà sociale, perdura l’obbligo di protezione dell’interesse dell’altra parte se ciò non comporta un apprezzabile sacrificio; in pratica, la parte colpita dall’evento giuridicamente infausto, dovrà valutare, prima di invocare un esonero di responsabilità, se esistano effettivamente forme di adempimento alternative che consentano comunque l’esecuzione della prestazione.
Generalmente le clausole di hardship presentano una struttura trifasica:
- definizione dell’evento di hardshipa titolo esemplificativo, rialzi del costo delle materie prime, ribassi nel valore del prodotto finito, variazioni delle imposte o dei dazi doganali. In ogni caso deve trattarsi di situazioni del tutto imprevedibili e tali da alterare nella sostanza l’equilibrio contrattuale originario;
- modalità di accertamento dell’evento di hardship: le parti del contratto disciplinano il modo in cui la circostanza causa di squilibrio contrattuale debba essere accertata e comunicata alla controparte per poter dare esecuzione al procedimento di “ristrutturazione” del contratto;
- disciplina delle conseguenze della dichiarazione di hardship: vengono illustrate le modalità attraverso le quali le parti debbano giungere a una nuova fase di negoziato finalizzata ad adattare le condizioni del contratto alla nuova situazione e dunque a riportare l’equilibrio tra le prestazioni.
Le clausole tipo ICC sono destinate ad applicarsi a qualsiasi contratto che le incorpori espressamente o per riferimento: le parti sono, quindi, incoraggiate a includere le clausole nei loro contratti con il loro nome per esteso “clausola di forza maggiore/hardship ICC”. Tuttavia, anche un qualsiasi riferimento nel contratto alla Clausola ICC, in assenza di prove contrarie, sarà considerato come un rinvio alla Clausola stessa.
A differenza della forza maggiore che è una clausola ampia e ben definita, il principio dell’eccessiva onerosità – presente nel nostro ordinamento (artt. 1463 e 1467 c.c.) – non trova riconoscimento generalizzato nei vari ordinamenti nazionali, ove vige il principio di immodificabilità degli accordi contrattuali, se non nella misura in cui espresse pattuizioni lo consentano.
Peraltro, venendo alla nostra normativa nazionale, nell’ambito della quale il principio di buona fede rileva quale cardine dell’impianto codicistico in materia contrattuale, l’impostazione tradizionale, ispirata a un rigoroso rispetto del principio pacta sunt servanda, individua quale soluzione della problematica delle sopravvenienze la rimozione dal mondo giuridico del contratto con inevitabile (e spesso disvoluta) caducazione dell’operazione economica nel suo complesso.
Nell’odierno contesto economico, tuttavia, si manifesta con assoluta evidenza l’inadeguatezza di tali rimedi: lo scioglimento del vincolo negoziale, infatti, non risponde necessariamente all’interesse dei contraenti, i quali potrebbero invece conseguire un indubbio vantaggio dalla rimodulazione delle condizioni contrattuali.
Non agirebbe secondo buona fede la parte che, a conoscenza della sopravvenienza non imputabile all’altra, se ne avvantaggiasse rifiutando la pur possibile rinegoziazione del contratto facendo valere un regime giuridico che nega la possibilità di attivazione di meccanismi revisionali.
Il dovere di rinegoziare il contratto alterato dalle sopravvenienze, infatti, secondo parte della giurisprudenza e della dottrina è connaturato all’obbligo esecuzione del contratto secondo buona fede, obbligo che incombe su entrambe le parti e comporta un dovere reciproco di attivazione per la salvaguardia dell’altrui interesse.
In conseguenza dell’inadempimento di un siffatto obbligo, è stata individuata in capo alla parte che ha promosso la rinegoziazione sia la facoltà di agire per il risarcimento del danno nei confronti della controparte intransigente sia il diritto di ricorrere al giudice per ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo inadempiuto, ovvero una sentenza che tenga luogo dell’accordo di rinegoziazione non concluso; in tal senso, rileva la Relazione tematica n. 56 dell’8.7.2020 Cassazione civile su “novità normative sostanziali del diritto emergenziale anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale”.
All’invocazione della cd. eccessiva onerosità sopravvenuta di cui all’art. 1467 del Codice civile consegue la risoluzione del contratto, che tuttavia l’altra parte può evitare offrendosi di modificare equamente le condizioni del contratto.
È intuitivo che lo strumento della rinegoziazione valorizzi la volontà contrattuale, preservando il piano costi e ricavi originariamente pattuito, sia fondata su un elemento concreto e dimostrabile – la causa del contratto, intesa come la ragione economica del rapporto – in funzione del quale sono stati ripartiti e vanno riallineati i sacrifici tra le parti nonché preservi l’efficacia del contratto, consentendo il raggiungimento del risultato.
La rinegoziazione non solo si rivela un mezzo più duttile per superare l’impasse creatasi, consentendo di rimodulare le modalità attuative della prestazione, in modo più incisivo rispetto alla clausola di revisione dei prezzi pure generalmente prevista nei contratti a esecuzione continuata e periodica, inidonea tuttavia a eliminare completamente l’alea tipica di un contratto di durata, la cui valutazione è riconducibile alle circostanze soppesate al momento della conclusione del contratto, ma anche risulta essere uno strumento già previsto dal legislatore (la rinegoziazione in buona fede in funzione del giusto riequilibrio considerata nella Relazione della Cassazione di cui innanzi).
Ricorrendo a clausole che disciplinano proprio criticità quali quelle attuali saremo in grado di non congelare/estinguere i contratti, ma consentirne l’esecuzione intervenendo nell’interesse comune di tutte le parti, private e pubbliche.
In merito, si veda la formulazione dell’art. 29, Disposizioni urgenti in materia di contratti pubblici, del D.L. 27 gennaio 2022, n. 4, Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico, convertito con modificazioni in legge 28 marzo 2022, n. 25 (c.d. Sostegni-ter) che, con l’introduzione di una nuova disciplina (fino al 31 dicembre 2023) in tema di revisione dei prezzi e aggiornamento dei prezzari nei contratti pubblici, si propone di rispondere all’esigenza di consentire un adeguato/corretto rapporto negoziale dove il sinallagma funzionale (prezzo – prestazione) mantenga il proprio equilibrio.
Pur in presenza di norme pubblicistiche di sostegno all’economia, la risposta all’aumento dei costi non è tuttavia adeguata; una soluzione maggiormente efficace esigerebbe l’estensione al settore pubblico (vedasi gli appalti) degli istituti generali del codice civile relativi ai principi di buona fede e correttezza (ex artt. 1175, Comportamento secondo correttezza, 1337, Trattative e responsabilità precontrattuale, 1366, Interpretazione di buona fede, e 1375, Esecuzione di buona fede, c.c.) che consentono di ripristinare l’equilibrio negoziale (con margini di aumento di percentuale di scostamento e compensazione giustificabili e giustificati), ribadendo un “dovere giuridico” di agire, fonte di responsabilità contrattuale, nel pieno rispetto del principio di legalità e di copertura della spesa, in coerenza con il principio costituzionale di buon andamento e imparzialità (ex art. 97 Cost.) nell’interesse collettivo alla realizzazione delle opere, forniture e servizi in epoca di “continua” emergenza strutturale.
Corinne Ciriello