Il recente arresto giurisprudenziale della Corte di Giustizia UE (sentenza 2 settembre 2021 – C. 790/19) sancisce l’imputabilità per il reato di autoriciclaggio, in aggiunta al reato principale di evasione fiscale, ammettendo la compatibilità del reato di autoriciclaggio con il diritto dell’Unione Europea.
La Corte, ha così concluso: “L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale che prevede che il reato di riciclaggio di capitali, ai sensi di tale disposizione, possa essere commesso dall’autore dell’attività criminosa che ha generato i capitali di cui trattasi”.
Il 15 novembre 2018, il Tribunale di Brașov (Romania) aveva condannato un cittadino rumeno alla pena detentiva per il reato di riciclaggio di capitali derivanti da un reato di evasione fiscale commesso dal medesimo cittadino. Nel caso di specie, il reato di evasione derivava da incassi non dichiarati che erano stati trasferiti, mediante l’artificio di un contratto di cessione credito, su un conto corrente bancario di una società amministrata da un soggetto terzo e poi prelevati sia dall’imputato che dal soggetto terzo.
La Corte di appello di Brașov aveva sospeso il procedimento penale, dubitando che la suddetta condotta, qualificabile come “autoriciclaggio”, potesse dirsi compatibile con il diritto dell’Unione Europea e in particolare con l’articolo 1, paragrafo 3, lettera a), della direttiva (UE) 2015/849, la cui interpretazione letterale, ad avviso del rimettente, lasciava intendere che il reato di riciclaggio, pur sempre derivante da altro reato, si configurasse in capo a un soggetto diverso dall’autore del reato principale.
Secondo il giudice rumeno, inoltre, far convergere entrambi i reati in capo al medesimo soggetto equivaleva a violare il principio del ne bis in idem contemplato dall’art. 50 dalla Carta Europea dei diritti Fondamentali dell’Unione, come anche dall’art. 4, Protocollo n. 7, Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.
Sebbene la questione del giudice del rinvio fosse stata sollevata riguardo all’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2015/849, la Corte di Giustizia Europea ha osservato che, nel caso di specie, la legge nazionale ai sensi della quale l’imputato era stato condannato aveva trasposto nel diritto rumeno l’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2005/60, in vigore durante il periodo in discussione nel procedimento principale, pertanto ha concentrato l’attenzione su tale testo normativo.
Aderendo alle conclusioni dell’Avvocato Generale, la Corte di Giustizia Europea ha rilevato che il riciclaggio dei capitali, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2005/60, ovvero la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi, è costituito da un atto distinto dall’atto costitutivo del reato principale, anche se detto riciclaggio di capitali è effettuato dall’autore del reato principale e quindi ad egli imputabile.
Con riferimento al principio del divieto di ne bis in idem, la Corte ha infine chiarito che spetta al Giudice di merito riscontrare la non coincidenza dei fatti costitutivi del reato principale, cioè l’evasione fiscale, con quelli rispetto ai quali l’imputato risulta perseguito per autoriciclaggio. Nell’ipotesi in cui si constatasse che i fatti che hanno dato luogo al procedimento penale, a titolo di riciclaggio di capitali, non siano gli stessi di quelli che hanno costituito il reato principale di evasione fiscale la violazione del principio del ne bis in idem sarebbe infatti esclusa.
Federica Basile