L’assegno di divorzio esiste ancora
Nel 2017 la Cassazione (Cass. 11504/2017), nel valutare la debenza dell’assegno di divorzio, ha sancito il principio dell’autosufficienza dei coniugi al termine del matrimonio con esclusione del parametro del mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, stabilendo come questo spetti solo a chi sia privo di redditi e non in grado di lavorare non per sua colpa. La Corte d’Appello di Milano nello stesso anno, con la famosa sentenza cosiddetta Berlusconi, ha applicato questo principio (Corte App. Milano sent. 4793/2017).
Da allora è sembrato che l’assegno di divorzio fosse destinato a scomparire, avendo la Cassazione detto addio al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, con il condivisibile obiettivo di eliminare le cosiddette rendite parassitarie, ossia le situazioni in cui perlopiù la moglie veniva mantenuta a vita dall’ex anche se il matrimonio era cessato da tempo, proprio grazie all’applicazione del tradizionale parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio che effettivamente è in contrasto con la natura stessa del divorzio, il quale fa cessare definitivamente il vincolo matrimoniale.
La rigida applicazione del solo principio di autosufficienza dei coniugi al cessare del vincolo matrimoniale ha però penalizzato tante signore che, in accordo con il marito all’inizio del matrimonio, avevano interrotto o limitato la propria attività lavorativa per dedicarsi alla famiglia, favorendo la carriera del coniuge.
I giudici, sulla scorta del nuovo principio, per qualche anno hanno riconosciuto pochissimi assegni divorzili, esclusivamente in caso di mancanza di mezzi di sostentamento in capo al coniuge richiedente l’assegno.
In tempi recenti, invece, si sta via via affermando un orientamento giurisprudenziale più equilibrato il quale, pur non consentendo le rendite parassitarie, riconosce l’assegno divorzile non più esclusivamente ai coniugi che non abbiano mezzi di sostentamento non per loro colpa.
I giudici adesso considerano anche la eventuale sperequazione della situazione economico reddituale dei coniugi, verificano l’effettivo contributo dato dal coniuge che richiede l’assegno divorzile alla costituzione del patrimonio comune in costanza di matrimonio e del patrimonio dell’ex coniuge, tengono in considerazione la durata della convivenza matrimoniale e riconoscono all’ex coniuge che lo abbia ottenuto il diritto di poterlo mantenere anche in caso di nuova convivenza. Lo ha affermato una recentissima pronuncia della Cassazione (Cass. n. 6537 del 28 febbraio 2022) che ha voluto valorizzare la funzione equilibratrice dell’assegno di divorzio, richiamando altre due recenti pronunce (Cass. n. 600223 del febbraio 2022; Cass. n. 11796 del 5 maggio 2021).
I giudici stanno, pertanto, affermando un principio di solidarietà economica il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex coniugi a tutela di quello più debole; solo in mancanza di una ragione di solidarietà economica, l’eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe in un ingiusto arricchimento del coniuge percettore dell’assegno, come è più volte accaduto in passato quando si faceva riferimento in astratto al criterio del tenore di vita in costanza di matrimonio, dando corso alle tanto odiate rendite parassitarie.
Camilla Cozzi