Introduzione
Il mercato degli NFT è in leggera crisi: questo è quanto si può desumere dal primo rapporto trimestrale del 2022, pubblicato dal sito “nonfungible.com”. Infatti, nei punti chiave del report è espressamente indicato che “Il grande pubblico sembra perdere interesse per le NFT, se si deve credere al volume di ricerca su Google…Il volume degli utili di rivendita è sceso del 3% mentre il volume delle perdite totali è aumentato di quasi il 50% rispetto al trimestre precedente. Per la prima volta, alcuni segmenti mostrano un saldo negativo: i giochi mostrano una perdita totale di quasi $ 50 milioni sul segmento, il che lo rende il segmento meno redditizio del settore dal punto di vista commerciale”.
Dunque, da una inziale esplosione del fenomeno, che ha registrato nel 2021 oltre $ 5 miliardi di profitti nel trading, si è arrivati, ad oggi, a una piccola fase calante, dovuta probabilmente alla difficile comprensione di un mondo articolato e attualmente ancor privo di una disciplina giuridica e tributaria ad hoc. Tuttavia, permane la previsione ottimistica che guarda agli NFT (e al metaverso) come un baluardo della nostra vita quotidiana del futuro.
La procedura per l’acquisto, possesso, vendita e/o scambio di un NFT è sicuramente a primo impatto di difficile interpretazione e può risultare di complessa realizzazione, ma all’inizio anche l’avvento dei primi computer e la comparsa dei social media sono stati oggetto di particolare e diffusa diffidenza.
Per comprendere al meglio l’NFT occorre innanzitutto semplificarne il concetto: è un token (i.e. una risorsa virtuale) che rappresenta un asset unico, con caratteristiche a esso peculiari in quanto non può essere sostituito con un altro token equivalente; non è intercambiabile.
Gli NFT possono assumere diverse forme (opera digitale, un brano musicale, un avatar, un vestito 3D indossabile dentro un videogioco) e sono costituiti da un codice di programmazione che sulla blockchain è noto come smart contract. Questo “atto digitale” conferisce al suo titolare la possibilità di utilizzare, vendere e trasferire quel bene. Tuttavia, preme evidenziare che quando un token rappresenta un bene materiale, il possesso di tale token non necessariamente coincide con il possesso del bene fisico rappresentato. Infatti, il possesso dell’NFT è strettamente correlato dal suo contenuto dichiarativo, ovvero dal contesto in cui esso è stato creato o negoziato: senza il contenuto dichiarativo, il possesso dell’NFT in sé non attribuisce al possessore alcuna titolarità sul bene rappresentato. Ciò vale anche se il bene rappresentato nell’NFT è immateriale: i diritti dei beni esistono a prescindere dall’NFT che contiene una loro rappresentazione (per esempio, opere dell’ingegno e brevetti). Si pensi all’acquisto di NFT che rappresentati una figurina di calcio: il possessore di un NFT rappresentativa di un calciatore può soltanto rivendicare la proprietà dell’NFT stesso, non sicuramente un diritto di utilizzo e sfruttamento dell’immagine del giocatore.
In tal modo, così come per i beni materiali, un determinato file (riprodotto in un NFT) può passare di possessore in possessore, con tutti gli effetti conseguenti sull’informazione che tale file contiene.
Dunque, in linea generale, chi acquista un NFT mostra il proprio diritto di “possesso” – ma non di proprietà – sul bene digitale e su particolari servizi che possono essere a questo associati.
Trattamento contabile e fiscale
Senza ulteriormente dilungarsi sulle caratteristiche tipiche di un NFT – in quanto già oggetto di trattazione in precedenti nostri articoli – preme evidenziare che dal punto di vista contabile né i principi contabili OIC né i principi internazionali IAS/IFRS forniscono indicazioni su come contabilizzare correttamente un NFT. In assenza di tali previsioni, con uno sguardo a quanto previsto contabilmente sui cd. cripto assets, un NFT posseduto da una società potrebbe essere inquadrato fra le immobilizzazioni immateriali o in alternativa fra le rimanenze di magazzino: nel primo caso, si farebbe riferimento all’OIC 24 (a livello domestico) e allo IAS/IFRS 38 (a livello internazionale); mentre qualora venisse considerato quale rimanenza di magazzino i principi contabili di riferimento sarebbero l’OIC 13 e lo IAS/IFRS 2.
Sul fronte giuridico, ancora attualmente non esiste un inquadramento degli NFT che abbracci l’intero procedimento: dalla creazione, alla commercializzazione, all’utilizzo, alla successiva rivendita. E questo genera rilevanti ripercussioni anche nell’ambito tributario.
Ad oggi, in assenza di una disciplina ad hoc, si potrebbe affermare che il regime degli NFT risulti variabile in funzione della natura giuridica dell’attività digitale a esso associata.
Sotto il profilo dell’imposizione diretta, si ritiene che se i proventi derivanti dalla cessione degli NFT sono conseguiti da soggetti che svolgono un’attività d’impresa – verificando necessariamente il “sottostante” dell’NFT – questi rientrino nella lettera a) dell’art. 85 del TUIR (che considera ricavi “i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa”); diversamente, si tratterà di ricavi inquadrabili tra quelli previsti dalla successiva lettera b) dello stesso articolo oppure di plusvalenze ex art. 86 TUIR.
Nel caso in cui sia un lavoratore autonomo a svolgere abitualmente attività di compravendita di NFT, allora tali proventi saranno assimilabili a quelli di lavoro autonomo disciplinati dall’art. 53 del TUIR.
Fuori dai casi sopra esaminati, più complicato risulta la fattispecie del soggetto che non svolge un’attività d’impresa o di lavoro autonomo. La problematica che si presenta concerne la qualifica dei redditi che vengono prodotti: ovvero, se i redditi prodotti da tali soggetti a seguito della vendita di NFT possano rientrare nella più ampia categoria dei redditi diversi ex art. 67 del TUIR (e, nello specifico, poter essere considerati come “redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente” ai sensi del comma 1 lett. i) del medesimo articolo) o se, diversamente, possano essere considerati come cessioni isolate (per le quali non si rinviene alcun intento speculativo – nemmeno occasionale – e come tali irrilevanti ai fini reddituali).
Per risolvere dubbi ed evitare l’insorgere di disposizioni fra loro contrastanti, si auspica l’avvento di una disciplina civilistica-fiscale nel breve termine.
Trattamento ai fini IVA
Altresì, per quanto concerne il trattamento ai fini dell’IVA, gli aspetti relativi agli NFT devono essere verificati considerando il “sottostante” dell’NFT stesso.
In particolare, con riferimento alla disciplina IVA applicabile alla cessione del NFT da parte del soggetto creatore dello stesso, è opportuno distinguere il caso in cui la cessione dell’NFT sia eseguita congiuntamente all’opera cui lo stesso si riferisce con la fattispecie opposta, ovvero qualora la vendita del non fungible token sia dissociata all’opera “rappresentata”. Nel primo caso, si ritiene che l’operazione possa rientrare nell’ambito delle cessioni di diritto d’autore irrilevanti ai fini IVA ex art. 3 comma 4 lett. a) del DPR 633/72 (il quale prevede che non sono assimilabili alle prestazioni di servizi “le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d’autore effettuate dagli autori e loro eredi o legatari”); nella seconda fattispecie si considera che la cessione del NFT possa essere trattata come la cessione di un bene immateriale assimilabile a una prestazione di servizi ex art. 25 lett. a) della Direttiva 2006/112 e, pertanto, rilevante ai fini IVA.
Da ultimo, qualora dovessero susseguirsi cessioni successive alla prima, per definire il corretto inquadramento dal punto di vista dell’IVA bisognerebbe individuare il Paese di localizzazione della piattaforma (i.e. marketplace) tramite il quale si verifica la cessione/scambio dell’NFT. Il Problema, però, che potrebbe sorgere per applicare un corretto regime IVA è strettamente connesso alla decentralizzazione e alla conseguenziale a-territorialità delle piattaforme stesse.
Conclusioni
Nonostante sia stata rilevata una parziale discesa del fenomeno degli NFT rispetto all’anno 2021, “l’investimento” è positivo non solo per chi acquista ma anche per gli stessi soggetti che generano NFT in quanto possono finalmente guadagnare sulle loro creazioni: tanti artisti, infatti, da anni lavorano principalmente attraverso i canali digitali, pubblicando i loro lavori su piattaforme quali Instagram o altri social media, monetizzando il lavoro svolto.
Inoltre, il mondo del metaverso e degli NFT è fortemente legato alla community, al network, ponendosi come terreno fertile per lo sviluppo di brand, imprese e professionisti: ad esempio, si pensi ai vantaggi che si possono conseguire e che vengono concessi a chi acquista un NFT collegato a un personaggio famoso quali accesso a numerosi suoi eventi o incontri con gli stessi VIP.
Attualmente investire i soldi nel virtuale è sinonimo di surrealismo ma si può pacificamente affermare che non è affatto surreale immaginare (o credere) che le potenzialità degli NFT possono creare nel (breve) futuro i presupposti per mostrare il proprio status sociale. Per una tale comprensione, un definito inquadramento contabile, giuridico e tributario potrebbe di gran lunga essere utile.
Alessandro Madau
Angelo Ferro