La validità delle fideiussioni omnibus a garanzia di operazioni bancarie, emesse sulla base dello schema predisposto nel 2003 dall’ABI – Associazione Bancaria Italiana – è ancora oggetto di discussione tra gli addetti ai lavori.
Il nostro Francesco Resta ha analizzato e selezionato per noi le principali pronunce nonché i commenti in merito che si concentrano in particolare sugli articoli 2,6 e 8 dello schema contrattuale e sulla nullità dei contratti a valle.
Ultima, in ordine temporale, è arrivata l’ordinanza del 30 aprile 2021 che ha rimesso la questione alle Sezioni Unite per valutare le conseguenze giuridiche di una fideiussione bancaria per cui sia contestata la nullità per violazione dell’art. 2 della Legge Antitrust.
Fideiussioni omnibus: decidono le Sezioni Unite
In materia di fideiussione omnibus, una recente ordinanza della Suprema Corte del 30 aprile u.s., n. 11486 ha rimesso “gli atti al Primo Presidente, affinché valuti la sussistenza dei presupposti per l’assegnazione della causa alle Sezioni Unite per una rimeditazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di nullità dei contratti stipulati in conformità d’intese restrittive della concorrenza, volta a verificarne l’applicabilità alle fideiussioni bancarie prestate in conformità delle condizioni uniformi predisposte dall’ABI”.
In particolare, la predetta pronuncia sollecita un’adeguata valutazione al fine di stabilire “… a): se la coincidenza totale o parziale con le predette condizioni giustifichi la dichiarazione di nullità delle clausole accettate dal fideiussore o legittimi esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno, b) nel primo caso, quale sia il regime applicabile all’azione di nullità, sotto il profilo della tipologia del vizio e della legittimazione a farlo valere, c) se sia ammissibile una dichiarazione di nullità parziale della fideiussione, e d) se l’indagine a tal fine richiesta debba avere ad oggetto, oltre alla predetta coincidenza, la potenziale volontà delle parti di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia, ovvero l’esclusione di un mutamento dell’assetto d’interessi derivante dal contratto”.
Saranno forse le Sezioni Unite a sciogliere i nodi della ben nota questione relativa all’individuazione di eventuali profili di invalidità dei contratti fideiussori contenenti delle previsioni negoziali aventi il medesimo contenuto – e spesso il medesimo tenore letterale delle clausole 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI nel 2002-2003, relativo alla “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”, che disciplina la prestazione della garanzia fornita da un soggetto (fideiussore) a beneficio di qualunque obbligazione, presente e futura, del debitore di una banca (cd. fideiussione omnibus).
In particolare, l’art. 2 del predetto schema ABI contiene la clausola di cd. “reviviscenza”, del seguente tenore: “il fideiussore s’impegna altresì a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”; l’art. 6 deroga all’art. 1957 c.c., statuendo che “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”; e da ultimo, l’art. 8 del predetto schema contiene la clausola di cd. “sopravvivenza”, del seguente tenore: “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”.
Il modello contrattuale – e in particolare le predette clausole – predisposto dall’ABI è stato sottoposto ad esame, controllo e verifica da parte della Banca d’Italia – quale (allora) Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi (ai sensi degli artt. 14 e 20 della L. 10.10.1990, n. 287, Legge Antitrust, vigenti fino al trasferimento dei poteri all’AGCM con la L. 28.12.2005, n. 262) – avente a oggetto il denunciato contrasto tra il predetto schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI e l’art. 2 della predetta L. n. 287/1990 (rubricato intese restrittive della libertà di concorrenza) in virtù del quale “sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali […] Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto“.
All’esito dell’attività istruttoria, la Banca d’Italia, con l’articolato provvedimento n. 55 del 2.5.2005, ha disposto che “gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90 […]”, chiarendo che “le verifiche compiute nel corso dell’istruttoria hanno mostrato, con riferimento alle clausole esaminate, la sostanziale uniformità dei contratti utilizzati dalle banche rispetto allo schema standard dell’ABI. Tale uniformità discende da una consolidata prassi bancaria preesistente rispetto allo schema dell’ABI (non ancora diffuso presso le associate), che potrebbe però essere perpetuata dall’effettiva introduzione di quest’ultimo” (punto 93).
In particolare, “con riferimento alla deroga all’art. 1957 cod. civ. configurata dall’art. 6 dello schema ABI, occorre rilevare che essa ha la funzione di esonerare la banca dal proporre e proseguire diligentemente le proprie istanze, nei confronti del debitore e del fideiussore, entro i termini previsti da detta norma. Tale clausola, pertanto, appare suscettibile di arrecare un significativo vantaggio non tanto al debitore in difficoltà – come ritiene l’ABI – quanto piuttosto alla banca creditrice, che in questo modo disporrebbe di un termine molto lungo (coincidente con quello della prescrizione dei suoi diritti verso il garantito) per far valere la garanzia fideiussoria. Ne potrebbe risultare disincentivata la diligenza della banca nel proporre le proprie istanze e conseguentemente sbilanciata la posizione della banca stessa a svantaggio del garante. La clausola che dispone la “reviviscenza” della garanzia dopo l’estinzione del debito principale (art. 2 dello schema) impegna il fideiussore a tenere indenne la banca da vicende successive all’avvenuto adempimento, anche quando egli abbia confidato nell’estinzione della garanzia a seguito del pagamento del debitore e abbia conseguentemente trascurato di tutelare le proprie ragioni di regresso nei confronti di quest’ultimo (cfr. art. 1953 cod. civ.). Da ciò derivano conseguenze particolarmente pregiudizievoli per il garante quando l’obbligo di restituzione della banca sia determinato dalla declaratoria di inefficacia o dalla revoca dei pagamenti eseguiti dal debitore a seguito di fallimento dello stesso […]” (punti 83 e 84); e infine, in relazione alla clausola di cd. “sopravvivenza”, ha sottolineato tra l’altro che “l’art. 8 dello schema estende la garanzia anche agli obblighi di restituzione del debitore, derivanti dall’invalidità del rapporto principale. Tali obblighi sono ulteriori e diversi rispetto a quelli di garanzia dell’adempimento delle obbligazioni assunte dal debitore in forza dei rapporti creditizi cui accede la fideiussione. Pertanto, una siffatta previsione non appare connaturata all’essenza del rapporto di garanzia e potrebbe, per converso, indurre la banca, in sede di concessione del credito, a dedicare una minore attenzione alla validità o all’efficacia del rapporto instaurato con il debitore principale; essa, infatti, potrebbe comunque contare sulla permanenza dell’obbligazione di garanzia in capo al fideiussore omnibus al fine di ottenere il rimborso delle somme a qualsivoglia titolo erogate” (punto 86).
Sulla base del citato provvedimento, la Corte di legittimità, con un’estesa pronuncia resa nel 2017 (Cass., 12.12.2017, n. 29810), da un lato, ha chiarito che la suindicata previsione di cui all’art. 2 della legge Antitrust non deve esclusivamente riferirsi alle “intese” quali contratti in senso tecnico, in quanto detta norma ha inteso, in realtà e in senso più ampio, proibire il fatto della distorsione della concorrenza, in quanto si renda conseguenza di un perseguito obiettivo di coordinare, verso un comune interesse, le attività economiche (il che può essere il frutto anche di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”), conseguendo da ciò che “allorché l’articolo in questione stabilisce la nullità delle “intese”, non abbia inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza. Pertanto, qualsiasi forma di distorsione della competizione di mercato, in qualunque forma essa venga posta in essere, costituisce comportamento rilevante ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 2 della legge antitrust“. Dall’altro, ha statuito che “[…] in tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d’Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20 (in vigore fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016) a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”.
La Corte di legittimità sembra dunque ritenere che la nullità dell’intesa illecita a “monte” contagi e coinvolga anche i contratti conclusi a “valle”, manifestazioni attuative proprio di quell’intesa (illecita).
Successivamente alla suindicata pronuncia si è sviluppata una giurisprudenza in alcun modo univoca e coerente, anzi, a dire il vero, confusa, variegata e divisa.
Alcune pronunce hanno rilevato, infatti, la nullità totale dei contratti a “valle” conclusi sulla scorta della predetta intesa illecita, sostenendo che “se è vero che qualsiasi forma di distorsione della competizione di mercato, in qualunque modo essa venga posta in essere, costituisce comportamento rilevante per l’accertamento della violazione dell’articolo 2 della normativa antitrust, è inevitabile concludere che l’intero portato, a valle di quella distorsione, debba essere assoggettato alla severa scure della nullità; e ciò anche se nel contratto di garanzia sottoscritto dal fideiussore con la banca soltanto gli articoli 2, 6 e 8, contenenti le clausole di “sopravvivenza”, di “riviviscenza” e di rinuncia ai termini ex articolo 1957 del codice civile, riproducessero quelle dello schema elaborato dall’ABI nel 2003, poi ritenute dalla Banca d’Italia lesive della concorrenza, in violazione dell’articolo 2 della legge n. 287 del 1990” (così, Trib. Salerno, 23.8.2018, n. 3016; v. anche Trib. Salerno, 5.2.2020, n. 480); rilevando anche che “in tema di fideiussioni omnibus, laddove sia accertato che le clausole del contratto siano il frutto o, meglio, l’estrinsecazione di un’intesa illecita ex art. 2 L. n. 287/1990, può configurarsi oltre al rimedio del risarcimento dei danni anche quello civilistico della nullità e ciò ai sensi dell’art. 1418, co. 1, c.c., per contrarietà diretta alle norme imperative di ordine pubblico economico: il contratto diventa lo “sbocco” dell’intesa vietata, lo strumento cioè attraverso il quale si realizzano gli effetti dell’illecito anticoncorrenziale, sicché esso stesso è colpito da nullità, ponendosi in contrasto con la disciplina posta a tutela della concorrenza” (Trib. Napoli, 5.5.2021, n. 4214; v. anche Corte App. Bari, 15.1.2020, n. 45; Trib. Taranto, 8.8.2019, n. 2127; Trib. Siena, 14.5.2019).
Ad avviso delle già menzionate pronunce non può dubitarsi dell’essenzialità delle clausole in discussione (artt. 2, 6 e 8 dello schema ABI); essenzialità peraltro affermata dalla stessa ABI nel corso dell’istruttoria del procedimento avanti la Banca d’Italia. Se quest’ultima ha ritenuto di vietare le clausole in oggetto è perché queste, imponendo al garante oneri diversi da quelli stabiliti dalle norme del codice civile, quali la rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c. (art. 6) e la permanenza dell’obbligazione fideiussoria a fronte delle vicende estintive e delle cause di invalidità che possono riguardare il pagamento del debitore o la stessa obbligazione principale garantita (artt. 2 e 8), alterano significativamente l’equilibrio degli interessi alla base della disciplina civilistica della fideiussione.
Secondo un diverso e corposo (per numero di pronunce) orientamento giurisprudenziale, nelle vicende de quibus può essere invece riscontrata la nullità parziale delle regolamentazioni contrattuali, in quanto “il provvedimento di Banca d’Italia, che ha accertato la contrarietà al diritto della concorrenza di alcune clausole presenti in un modulo standard predisposto dall’ABI, non comporta l’automatica e integrale nullità di tutti i contratti di fideiussione stipulati sulla base di tale modello, trovando applicazione la disciplina generale di cui all’art. 1419 c.c., in base al quale la nullità delle clausole anticoncorrenziali non comporta la nullità dell’intero contratto se l’assetto degli interessi in gioco non viene compromesso da una pronuncia di nullità parziale.” A riguardo, la Corte di legittimità, esaminando una fattispecie in cui il contratto di fideiussione era stato concluso tra le parti nel 2013, ha rilevato nella parte motiva che “avendo l’Autorità amministrativa circoscritto l’accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle NBU trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali rese in attuazione di dette intese (fol. 3 della sent. imp.), ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 c.c. e ss. e che possa trovare applicazione l’art. 1419 c.c., come avvenuto nel presente caso, laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite.” (così Cass., 26.9.2019, n. 24044).
Pronuncia della Corte di legittimità a cui è possibile affiancare (ancorché con argomentazioni non sempre univoche, esplicative di diverse e variegate teorie di pensiero) ulteriori sentenze dei giudici di merito che, partendo dall’accertamento in fatto della vicenda esaminata, hanno affermato il principio della nullità parziale dei contratti fideiussori (omnibus), ripetitivi del modello ABI del 2003 (così, tra altre, Trib. Rovigo, 3.5.2021, n. 305; Trib. Brescia, 23.6.2020, n. 1176; Trib. Milano, 23.1.2020, n. 610; v. anche Trib. Milano, 28.4.2020, n. 2637; Trib. Monza, 21.1.2020, n. 58; Trib. Roma, 11.9.2019, n. 17243; Trib. Benevento, 25.5.2019; Trib. Mantova, 16.1.2019; Trib. Rovigo, 9.9.2018: Trib. Treviso, 7.6.2018).
L’affermazione e declaratoria di nullità (totale o parziale) dei contratti fideiussori passa necessariamente attraverso il pieno e adeguato accertamento in fatto delle diverse fattispecie sottoposte ai giudici di merito. In altri termini, i giudici verificano e accertano le singole vicende giudiziali, esaminando vari elementi ed aspetti delle fattispecie, quali (a titolo esemplificativo e non esaustivo): a) l’uniformità delle clausole in questione a quelle del modello ABI del 2003 (“la coincidenza della clausola in contestazione con quella incriminata”: v. supra e anche Trib. Monza, 21.1.2020, n. 610) e più in generale la conformità del tenore letterale del contratto fideiussorio sottoscritto con quello dello schema ABI del 2003 (“la pari corrispondenza dell’intero testo contrattuale con il modulo ABI”), senza alcuna “forma di personalizzazione, neppure stilistica o lessicale”; b) la data di sottoscrizione del contratto fideiussorio (rispetto al tempo dell’intesa “illecita” o, al più, del provvedimento reso dalla Banca d’Italia; maggiore è la distanza temporale del contratto dagli eventi indicati, meno evidente sarà la riconducibilità dello stesso all’attuazione dello schema illecito); c) l’eventuale coincidenza di date tra la conclusione del rapporto debitorio principale e quello di garanzia (in funzione della libertà di scelta, da parte del garante, della tipologia di fideiussione); d) la presenza, nel periodo in cui il contratto fideiussorio è stato concluso, di regolamentazioni alternative e diverse “proposte” da altri istituti bancari. Elementi che nella situazione concreta possono determinare, o meno, un accertamento giudiziale diretto alla declaratoria di nullità (totale o parziale) del contratto fideiussorio.
È evidente che, in tale contesto, la parte che invoca il profilo di invalidità contrattuale ha l’onere di provare e documentare detto aspetto, fornendo a riguardo ogni elemento fattuale utile e necessario alla valutazione, ancorché il suindicato provvedimento della Banca d’Italia di accertamento dell’infrazione (n. 55 del 2 maggio 2005) possieda “… al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano in esso pronunciate, e il giudice del merito è tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione o meno della prescrizione contenuta nel menzionato provvedimento con cui è stato imposto all’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario” (così, Cass., 22.5.2019, n 13846).
Talune pronunce, al contrario, allineandosi a un non più recente filone giurisprudenziale (v. Cass., 11.6.2003, n. 9384), non intravedono nei contratti a “valle” profili di invalidità (né totale, né parziale). In particolare, secondo una recente sentenza del giudice di merito (Trib. Treviso, 26.7.2018, n. 1623) “un contratto che sia stato validamente perfezionato, in presenza dei requisiti strutturali di validità previsti dalla legge e che non persegua in sé una causa illecita o immeritevole per l’ordinamento giuridico, non può subire effetti invalidanti in dipendenza dell’accertamento della nullità o della caducazione di un rapporto giuridico diverso ed intercorso tra terzi. Se, da un lato, invero deve ritenersi la nullità delle fideiussioni stipulate in conformità allo schema di contratto predisposto dall’associazione bancaria italiana nell’ottobre 2002 per violazione del divieto di intese anticoncorrenziali, come ravvisato nel parere dall’AGCM del 22 agosto 2003, dall’altro, tuttavia, non può ritenersi la nullità dei contratti di fideiussione in cui non vi sia alcun oggettivo richiamo alla deliberazione dell’associazione delle imprese bancarie di approvazione del modello standardizzato di fideiussione omnibus, né in quelli in cui non risulti che tale deliberazione abbia vincolato l’istituto di credito stipulante al rispetto dello schema ABI nella contrattazione con terzi. In tale circostanza, invero, è arduo individuare un nesso di dipendenza delle fideiussioni con la deliberazione dell’ABI ovvero un collegamento negoziale nel suo significato tecnico” (del medesimo indirizzo anche da ultimo Trib. Busto Arsizio, 26.5.2020, n. 513; Trib. Spoleto 14.3.2019, n.197; Trib. Napoli, 1.3.2018, n. 2338; Trib. Monza, 16.10.2007). Analizzando fattispecie similari a quella esaminata dallo scrivente, il giudice di merito ha affrontato la questione dell’incidenza dell’intesa illecita a monte sui contratti conclusi a valle, rilevando che “l’affermazione per cui l’invalidità di un rapporto giuridico possa propagarsi ad un altro rapporto presuppone il previo riscontro di un vincolo di dipendenza funzionale o, quantomeno, di un collegamento negoziale oggettivamente apprezzabile tra gli stessi”.
Ad avviso dei predetti giudici, occorre accertare l’esistenza di un nesso di dipendenza funzionale tra il contratto di cui si censura la nullità e l’intesa a monte che l’ha presuntivamente originato, in quanto “l’applicazione del principio simul stabunt simul cadent presuppone, sul piano oggettivo, una ragione pratica ulteriore e distinta da quella dei singoli contratti in sé considerati e, sul piano soggettivo, l’estrinsecazione del comune intento pratico e della volontà di coordinamento teleologico dei contratti” (v. ancora Trib. Spoleto, cit). E laddove tali elementi non siano oggettivamente apprezzabili nella fattispecie considerata, un contratto che sia stato validamente perfezionato, presenti i requisiti strutturali di validità previsti dalla legge e non persegua in sé una causa illecita o immeritevole per l’ordinamento giuridico non può subire effetti invalidanti in dipendenza dell’accertamento della nullità o della caducazione di un rapporto giuridico diverso, intercorso tra terzi e dal quale non vi è prova sia derivato.
Ebbene, saranno forse ora le Sezioni Unite ad indicare la strada maestra…si vedrà.
Francesco Resta
Tax & Legal Partners