
Quando il controllo nella coppia passa dal portafoglio: la violenza economica riconosciuta dalla giurisprudenza
La violenza domestica non si manifesta soltanto attraverso percosse, minacce o insulti. Esiste una forma più silenziosa, ma altrettanto devastante: la violenza economica.
Limitare l’accesso alle risorse finanziarie, impedire di lavorare, controllare ogni spesa o appropriarsi del reddito del partner sono condotte che ledono l’autonomia personale e minano la dignità della vittima.
Per lungo tempo queste dinamiche sono rimaste in ombra, considerate “questioni private” e non riconosciute come vere e proprie forme di abuso. Molte persone – perlopiù donne – hanno vissuto in silenzio situazioni di dipendenza economica forzata, prive di strumenti adeguati a difendersi. Ma oggi qualcosa sta cambiando.
La giurisprudenza italiana ha compiuto passi decisivi: la Corte di Cassazione, con due sentenze del 2025 (n. 1268 del gennaio e n. 519 del 4 aprile), ha affermato con chiarezza che la violenza economica può integrare il reato di maltrattamenti in famiglia. Non si tratta quindi di un comportamento marginale, ma di una vera e propria condotta abusiva, capace di ridurre la persona a uno stato di prostrazione psicologica e fisica.
Gli esempi portati all’attenzione dei giudici sono concreti e drammatici: chi viene costretto a lavorare senza stipendio nell’azienda del partner; chi si vede negare la possibilità di crescere professionalmente; chi non può uscire di casa senza essere sorvegliato, persino attraverso telecamere. In tutti questi casi, il messaggio è chiaro: l’autonomia economica è parte integrante della libertà individuale.
Questo orientamento, in linea con la Convenzione di Istanbul e con le più recenti direttive europee, segna un punto di svolta nella tutela delle vittime e apre la strada a nuove prospettive legislative. Nel 2025 anche la Corte di Appello di Milano ha stabilito che violenza morale, psicologica ed economica – in particolare nella gestione delle finanze familiari – possono giustificare l’addebito della separazione.
Ma la violenza economica non si ferma al tempo della convivenza: anche il mancato versamento dell’assegno di mantenimento per i figli o delle spese extra dopo la separazione può costituire una forma di abuso.
Il problema è che questa violenza è ancora difficile da riconoscere. Spesso si nasconde dietro comportamenti culturalmente tollerati o ritenuti “normali”. Per questo è necessario un vero cambio di paradigma culturale e sociale: identificare queste condotte come abusi e lavorare, soprattutto sul piano educativo e formativo, per prevenirle e combatterle.
Parlare di violenza economica significa dare visibilità a un fenomeno troppo spesso invisibile, ma capace di condizionare profondamente la vita familiare e sociale.
La Cassazione ha ribadito che la violenza non è solo fisica o psicologica, ma può assumere l’insidiosa forma del controllo finanziario. Ciò offre alle vittime un nuovo strumento di tutela e contribuisce ad aprire un dibattito pubblico che può scardinare stereotipi radicati, promuovendo una cultura del rispetto e dell’uguaglianza nelle relazioni affettive.
Camilla Cozzi