A pochi giorni dall’inizio della pandemia da Covid-19 il decreto legge 18/2020 c.d. Cura Italia introduceva all’art. 46 un divieto generalizzato di procedere ai licenziamenti per g.m.o. individuali e collettivi, al fine di impedire che le conseguenze economiche dell’emergenza sanitaria si traducessero nell’immediata soppressione di posti di lavoro.
Il periodo del blocco, inizialmente previsto per un solo periodo di 60 giorni, è stato via via esteso a suon di proroghe fino al 30/06/21, a decorrere dalla quale solo le aziende che usufruiscono degli ammortizzatori sociali ordinari potranno decidere se comminare i licenziamenti ovvero optare per soluzioni conservative continuando a fruire delle integrazioni salariali e dell’esonero contributivo sino al 31/10/21.
Di fronte a un simile scenario e alle norme non sempre troppo chiare, ci si è posti il problema se il blocco dei licenziamenti fosse valevole o meno anche nei confronti della categoria dei dirigenti, la cui posizione ha notoriamente un peso economico diverso sulle aziende rispetto a quella del personale dipendente.
Dopo una prima timida pronuncia favorevole del Tribunale di Roma (febbraio 2021), che disponeva la reintegra del dirigente licenziato durante il blocco in forza di una lettura costituzionalmente orientata della normativa emergenziale, lo stesso Ufficio Giudiziario, con provvedimento n. 3605 del 19/04/21, giungeva all’opposta conclusione, fornendo questa volta un’interpretazione sistematica del testo di legge.
Con il primo provvedimento datato 26/02/21, il Giudice capitolino aveva esteso la disciplina del blocco dei licenziamenti anche ai dirigenti, in forza del principio di uguaglianza sancito dalla Carta Costituzionale, concludendo che, per il dirigente, il concetto di “giustificatezza” di origine contrattuale è perfettamente equiparabile alla motivazione sottesa al g.m.o. previsto per il solo personale dipendente ex art. 3 l. 604/66.
Tale interpretazione è risultata da subito di difficile condivisione, per precisa (e più volte reiterata) scelta del legislatore che, non solo disponendo il divieto, ma prorogando la norma per ben quattro volte, ha sempre e invariabilmente confermato il riferimento all’art. 3 della legge 604/66 – e non ai licenziamenti economici tout court; norma pacificamente non applicabile ai dirigenti per altrettanta espressa decisione legislativa (art. 2 e 10 – legge 604/66).
Con la sentenza n. 3605/21 di qualche mese più tardi il Giudice romano ha infatti fornito una diversa e ben più condivisibile lettura della norma, questa volta sistematica, giungendo alla conclusione che i dirigenti sono di fatto esclusi dal blocco per due ordini di ragioni.
In primo luogo, il dato letterale della norma emergenziale non lo prevede: la norma infatti richiama esclusivamente l’art. 3 della legge. 604/66; in secondo luogo, tale dato letterale è coerente con lo spirito che sorregge l’eccezionale ed emergenziale previsione del blocco dei licenziamenti durante la pandemia e cioè la possibilità per le aziende di ricorrere agli ammortizzatori sociali, ai quali infatti i dirigenti non possono accedere per espressa previsione legislativa.
Né si potrebbe addivenire a una soluzione diversa, argomentando al contrario che il dirigente è invece tutelato nelle ipotesi dei licenziamenti collettivi. La diversità delle due fattispecie (licenziamento individuale e licenziamento collettivo) è di per sé sufficiente a giustificare una diversità di trattamento delle due ipotesi (nel rispetto dell’art. 3 Cost.), né può costituire ex se valido motivo per estendere il beneficio del blocco, quando la lettera della legge e la ratio del sistema non lo consentono.
Pertanto, in presenza di presupposti di giustificatezza del recesso l’estensione del blocco dei licenziamenti anche ai dirigenti configurerebbe la violazione di due fondamentali principi costituzionali: quello di uguaglianza – poiché verrebbero trattate ugualmente due situazioni diverse – e il principio di libertà economica – poiché si imporrebbe al datore di sopportare da solo il costo del lavoro di siffatta categoria, non potendo essa stessa accedere alle misure di integrazione salariale.
L’unica via per mettere il manager al riparo dalla scure dei licenziamenti economici individuali durante il periodo pandemico sarebbe stata quella di una espressa previsione legislativa di misure emergenziali salariali di carattere straordinario anche per la categoria di appartenenza. Così non è stato.
Mariaines Marangelli